SS. TRINITA’

Non un Dio solitario ma comunitario

(Esodo 34, 4-6. 8-9; 2 Corinzi 13, 11-13; Giovanni 3,16-18)

Ascoltiamo il Vangelo:

«Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio, unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna.
Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui.
Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio».

Dio vuole a tutti i costi la salvezza del mondo. Per questo non rimane chiuso nel suo intimo ma avverte la necessità d’inviare nel mondo il Figlio che si immola per la nostra redenzione e, una volta ritornato al Padre, manda lo Spirito Santo perché ci aiuti a continuare la sua opera di salvezza donandola ad ogni uomo, di ogni tempo e di ogni regione geografica. Dio non resta raggomitolato in se stesso, ha necessità di donarsi, d’essere incontrato, di donarsi ad ognuno. Se è vero che “Dio è amore”, è nella natura stessa dell’amore non rimanere prigioniero ed isolato in se stesso ma è necessario che si doni, che si apra, si partecipi. L’amore sazia e vive di se stesso ma è portatore di una necessità: deve donarsi, deve aprirsi; è una legge intrinseca a se stesso. Questo ha fatto Dio nel suo piano di salvezza del mondo intero. Non ha chiuso le porte, non è rimasto prigioniero di se stesso ma, avvertendo la necessità di donarsi, è venuto nel mondo rivelandosi per quello che è: trino nelle persone uno nella divinità.

Dio in questa scelta ha amato noi più di lui. Ha preferito noi a se stesso. Avendo creato l’uomo si è impegnato ad amarlo, rispettandolo nella sua libertà, che esprime al suo massimo grado, anche non accettando Dio, non accogliendolo, ma non per questo cessa di amarlo, anzi lo insegue, mendica il suo amore, la sua corrispondenza. Porta fino alle conseguenze, estremamente positive, l’amore: darsi sempre, darsi tutto, darsi immeritatamente, darsi a fondo perduto. Amare per amore. Amare da morire e morire d’amore.

“Dio non ha mandato il Figlio per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato”. La Trinità non è qualcosa da comprendere mentalmente, come fosse una filosofia, ma una salvezza da ricevere, in cui credere, a cui abbandonarsi. E’, ancora una volta non dare, neppure l’assenso della mente, ma ricevere la forza per rialzarsi, accogliere la buona notizia che non siamo destinati a soccombere al nostro egoismo, alle nostre ferite, alle nostre chiusure, ma ad accettare che qualcuno ci salva, ci tiene in vita, alimenta la nostra speranza. Il nostro è un Dio che tende sempre la mano per dare e verso di lui dobbiamo solo allungare le nostre per ricevere, se poi apriamo il cuore sperimenteremo la consolazione della sua paternità, il balsamo delle sue parole rassicuranti e risanatrici perché intrise di attenzioni, rivelatrici del suo amore e capaci di donarsi in un moto perpetuo di gratuità assoluta e immeritata, ma proprio per questo manifestatrici del suo amore e della sua tenerezza viscerale per ognuno di noi.

In virtù del fatto che Dio è perfetto e bastevole in se stesso, ha traboccato verso gli uomini la sua ricchezza partecipandola e donandola. Lui assimila e trasforma tutto di noi per farci assomigliare a sé. Quindi come da lui, gratuitamente riceviamo, così, come lui, gratuitamente dobbiamo dare chiamando gli altri a condividere con noi ciò che da lui abbiamo ricevuto. Non possiamo essere solitari, la nostra vocazione, come la natura di Dio è, strutturalmente, comunitaria. Questa è l’unica legge dell’amore: non chiudersi nei recinti, ma allargare continuamente i paletti.