Egli non è venuto per pernottare, ma per restare.

di Giuseppe Gravante, Pentecoste – Anno A – 31 maggio 2020

At 2, 1-11; 1Cor 12, 3b-7.12-13; Gv 20, 19-23

Manda il tuoo Spirito, Signore, a rinnovare la terra.

La domenica di Pentecoste sancisce il termine del tempo liturgico di Pasqua; tuttavia, il compimento di questo periodo di gioia e luce non è da intendersi come esaurimento, ma come il punto apicale del pellegrinaggio avviato durante la Veglia Pasquale. Il dono dello Spirito corrisponde esattamente al raggiungimento di questo culmine, da cui tutto sgorga e da cui inizia il tempo della Chiesa.

L’episodio narrato nel Vangelo di Giovanni si colloca nella sera del giorno di Pasqua. Lo tesso giorno in cui, dieci degli undici apostoli rimasti, sono riuniti in un luogo chiuso che, già di suo, esprime una connotazione di paura e incredulità. In questo clima, il Risorto si fa presente, appare in mezzo a loro e, nonostante le porte chiuse, Gesù «venne» (Gv 20, 19).

Si adempie così la promessa che Gesù fece ai suoi discepoli turbati dall’annuncio del suo distacco: «Non vi lascerò orfani: verrò da voi» (Gv 14, 18). Egli parlava del suo ritorno post-pasquale, ma anche della sua costante e definitiva presenza nella Chiesa. Lo «stette in mezzo» indica esattamente questo: il Risorto, da questo momento in poi, definisce in via paradigmatica la sua permanenza nella vita e nella comunità dei discepoli. Egli non è venuto per pernottare, ma per restare.

Le sue prime parole sono: «Pace a voi» (Gv 20, 19) e, successivamente, mostra le piaghe della passione come emblema dell’assunzione del male che affligge l’uomo ma sconfitto definitivamente. Gesù Cristo – volendo utilizzare un linguaggio giuridico – ha cassato per vie inappellabili la vittoria sulla morte.

Giovanni, a questo punto, va oltre, dà inizio alla narrazione di un secondo episodio atto a rinvigorire le certezze di permanenza del Signore: di nuovo «Pace a voi». La pace che Gesù dona è il compimento di una promessa fatta durante l’ultima cena ed è la conseguenza della sua vittoria sul male, è la pienezza di ogni benedizione divina: i conflitti e le tribolazioni non possono scalfire la salvezza.

Qui si giunge all’insufflazione dello Spirito. Giovanni dice che Gesù «soffiò» (Gv 20, 22), richiamando con tale verbo l’azione creatrice di Dio nel libro della Genesi. Gesù dona lo Spirito; con esso dà vita alla nuova creazione dei discepoli unita a quella universale. È proprio questa nuova creazione che ci assorbe, ci rende partecipi della riconciliazione con il Padre.

Lo Spirito donato dal risorto è la condizione definitiva per l’inizio della missione della Chiesa legata intimamente al dono della pace. La missione si esplica, infatti, nell’annuncio del perdono: la Chiesa annuncia ciò di cui ha fatto esperienza.