Scolarizzati dalla Parola

Ez 17, 22-24; 2Cor 5, 6-10; Mc 4, 26-34

È bello rendere grazie al Signore

 

Il Vangelo di questa II domenica del Tempo Ordinario aiuta a far chiarezza e a rispondere a una domanda piuttosto ricorrente tra i cristiani d’oggi: come comunicare il Vangelo? Evidentemente, non si tratta di un interrogativo inscrivibile nell’unico vissuto odierno; infatti, lo stesso Gesù si trovò ad affrontare tale questione già molti secoli prima. «A che cosa possiamo paragonare il regno di Dio o con quale parabola possiamo descriverlo?» (Mc 4, 30). Il verbo “comunicare” si colloca in un più ampio campo semantico, esso non è mero “insegnare”, non si riverbera negli spazi “precisi” e ineludibili delle complesse dottrine. “Comunicare” coinvolge tutte le dimensioni della persona, sia quelle affidate alla parola sia quelle inerenti il linguaggio del corpo. Esso rimanda ai modi della rivelazione fatta da Gesù, «comprende eventi e parole intimamente connessi» (Dei Verbum 2). Il volto, lo sguardo, i gesti di Gesù, le sue parole tutte descrivono l’eloquenza di Dio.

È il linguaggio sapienziale di Gesù che in questo contesto fa da maestro. Il Vangelo stesso impone la necessità di interrogarsi: si evangelizza attraverso una prassi comunicativa o con una comunicazione della prassi? La Chiesa cosa deve comunicare? Il cristiano come s’inserisce in tutto ciò? È evidente, allora, come l’oggetto dell’annuncio sia il Regno, il Regno di Dio. «Così è il regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa. Il terreno produce spontaneamente prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga» (Mc 4,26-28): il Regno, a ben vedere, è animato da un’energia e da un dinamismo solo a lui propri; nonostante, questi, sarebbero inutili se privi della collaborazione umana.

Il profeta Ezechiele – continuando – annuncia il rigoglioso ed espressivo evolversi del ramoscello che diverrà un grande albero per la cura di Dio (Cfr. Ez 17, 22-23). Il compito della comunità cristiana, allora, è quello di non rinunciare alla missione del Regno, di annunciarlo con tutte le sue forze, mai priva della consapevolezza che Dio solo è il fermento, colui il quale lo farà diventare albero fruttuoso. Si tratta dunque di entrare nella logica dell’impegno gratuito, di inserirsi nelle dinamiche dell’espropriazione di sé. Inoltre, la comunità è chiamata ad asservirsi di tutta la generosità ed entusiasmo di cui dispone, coniugando quest’ultime con la capacità di distacco amorevole propria allo stesso Gesù: «io sono il Signore, che umilio l’albero alto e innalzo l’albero basso, faccio seccare l’albero verde e germogliare l’albero secco» (Ez 17, 24). La prassi ecclesiale dell’annuncio, quindi, può essere animata dalla pacatezza e dalla fiducia, ma anche dalla necessità di non confondere il successo, il potere mondano, la forza e il numero con l’avvento del Regno.

Il Vangelo, poi, enuncia il fondamento postumo di questo Regno: la piccolezza. «È come un granello di senape che, quando viene seminato sul terreno, è il più piccolo di tutti i semi che sono sul terreno; ma, quando viene seminato, cresce e diventa più grande di tutte le piante dell’orto e fa rami così grandi che gli uccelli del cielo possono fare il nido alla sua ombra» (Mc 4, 31-32). È questo il criterio che invita a non temere l’insignificanza degli esordi e neppure la marginalità nell’oggi. Il criterio della piccolezza invita a riporre sempre la propria fiducia nella Parola di Dio e, questa a volte, richiede pazienza e volontà, indefessa abilità nel saper protrarre la speranza attraverso tempi anche molto lunghi.

Sull’esempio di Gesù, infine, continuandone poi la missione, il compito della Chiesa è indiscutibilmente quello comunicare il Vangelo. Questo compito precipuo non va circoscritto a instabili preponderanze di parole, seppure queste siano indispensabili. La comunicazione è collaborazione all’avvento del Regno, richiede una prassi, uno stile di vita che sia realizzazione di quanto le parole dicono. Vivere secondo il Vangelo, per renderlo immediatamente percepibile, richiede serietà, implica il lasciarsi scolarizzare dalla Parola, dal desiderio intimo di conversione.

Giuseppe Gravante