Ascensione del Signore

(Atti 1,1-11; Ebrei 9,24-28; 10,19-23; Luca 24,46-53)

Ascoltiamo il Vangelo:

“In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di questo voi siete testimoni. Ed ecco, io mando su di voi colui che il Padre mio ha promesso; ma voi restate in città, finché non siate rivestiti di potenza dall’alto». Poi li condusse fuori verso Betània e, alzate le mani, li benedisse. Mentre li benediceva, si staccò da loro e veniva portato su, in cielo. Ed essi si prostrarono davanti a lui; poi tornarono a Gerusalemme con grande gioia
e stavano sempre nel tempio lodando Dio”.

Gesù è venuto sulla terra perché aveva nostalgia degli uomini, di mischiarsi tra loro, d’essere uno di loro per portare la salvezza, per ridare un senso, per insegnare ad amare. Al termine della missione ha nostalgia di Dio e ritorna al Padre portando con sé l’umanità. Non solo quella di cui si è rivestito annidandosi nel Grembo verginale di Maria, ma, in lui e con lui, ogni uomo.

Gesù ritorna al Padre ma non sbatte la porta, non è un andare contro, una delusione ma un compimento. Un ricapitolare, un restituire a Dio gli uomini che si erano sbandati, perduti. Una missione compiuta. Difatti salendo al cielo, quasi con nostalgia di quel suolo che ha calpestato e degli incontri che ha celebrato, delle relazioni che ha intessuto, benedice coloro che ha convocato sul monte, gli amici di sempre. Quelli che lo hanno tradito, abbandonato, quelli che si sono vergognati di lui, che lo hanno deluso, ma che lui non ha mai estromesso dalla sua vita, dall’orizzonte del suo amore. Non è un abbandono, un’arresa perché, consegnando loro i suoi stessi poteri, li invia, li invita a compiere la medesima missione: continuare ad annunziare la sua salvezza.

Dio non abbandona mai gli uomini ma sempre li custodisce, li guida. Cambia il modo, ma il suo cuore di Padre batte sempre, palpito d’amore per i figli che egli ama. Gli amici di Gesù finalmente, invasi dallo Spirito della Risurrezione, lo sanno. Difatti se ne vanno, si allontanano da quel luogo, tornano a Gerusalemme “con grande gioia” standosene nel tempio a lodare Dio. Ma come, il vostro amico vi lascia e voi gioite? Non c’è lo sposo e voi fate festa? C’è buio e voi esultate? Evidentemente hanno compreso che Dio è sempre con loro, che Gesù è andato per mandare Qualcuno che li accompagnerà in modo diverso ma con la stessa energia. Gesù “ha mani che grondano doni”, ha cuore che trabocca abbondanza anche se non c’è più. Il cuore di Dio è una fontana che eroga prima che io mi accosti ad essa, eroga durante il mio prelievo e anche dopo che mi sono dissetato, perché disseterà altri e tornerà a dissetarmi quando, avendone ulteriormente bisogno, ci ritornerò.

Perché “non esiste nel mondo solo la forza di gravità che pesa verso il basso, ma anche una forza di gravità che punta verso l’alto, quella che ci fa eretti, che mette verticali la fiamma e gli alberi e i fiori, che solleva maree e vulcani. Ed è come una nostalgia di cielo. Cristo è asceso nell’intimo di ogni creatura, forza ascensionale verso più luminosa vita” (Ermes Ronchi). L’uomo non è fatto per la terra ma per il cielo anche se è chiamato a vivere su questa terra per desiderare ed essere pellegrino verso il cielo. La forza di gravità capovolta: il cielo ci attira e ci sorprende perché ci attende l’amore eterno del Padre.