La forza rigenerante del riposo

(Geremia 23, 1-6; Efesini 2,13-18; Marco  6, 30-34)

Ascoltiamo il Vangelo:

“In quel tempo, gli apostoli si riunirono attorno a Gesù e gli riferirono tutto quello che avevano fatto e quello che avevano insegnato. Ed egli disse loro: «Venite in disparte, voi soli, in un luogo deserto, e riposatevi un po’». Erano infatti molti quelli che andavano e venivano e non avevano neanche il tempo di mangiare.

Allora andarono con la barca verso un luogo deserto, in disparte. Molti però li videro partire e capirono, e da tutte le città accorsero là a piedi e li precedettero.

Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, ebbe compassione di loro, perché erano come pecore che non hanno pastore, e si mise a insegnare loro molte cose”.

Anche riposare è lavorare. Come si fa ad essere sempre impegnati se non ci si rigenera. Non è il moltiplicarsi delle attività che dice la verità sul proprio impegno. E’ piuttosto l’efficacia, rispetto all’efficienza, a donare la differenza d’interpretazione e a segnare il livello di successo per il proprio operato. Ma dare sempre, in continuazione è come un pozzo da cui si attinge acqua senza che abbia una sorgente di ricambio o un affluente di sostegno.

Anche l’operaio del vangelo ha bisogno di riposo, di rigenerazione. E’ Gesù stesso che lo ricorda, anzi, esplicitamente rivolge l’invito ai suoi amici: “Venite in disparte, voi soli, in un luogo deserto, e riposatevi un po’”. Riposare per rigenerarsi. Riprendere le forze, rinnovarle attraverso il salutare sospendere le fatiche per fare spazio al riposo.

Una delle denunce più frequenti, nel tormentato e caotico mondo contemporaneo, è la lagnanza della mancanza di tempo. Non c’è tempo neppure per grattarsi la testa. E a volte a pagarne le spese sono le cose più importanti che siamo costretti a mettere da parte per fare spazio a quanto invece potrebbe essere rimandato. Occorre volere bene a se stessi talvolta concedendosi il meritato e necessario riposo. Sant’Ambrogio afferma: “se vuoi fare bene tutte le tue cose, ogni tanto smetti di farle”, l’esperienza dimostra ampiamente che non aveva proprio torto, anzi. Il riposo è un gesto d’amore verso se stessi. Ci sono taluni che, presuntuosamente, credono che senza di loro il mondo non vada avanti. Ma, quando si muore, si sperimenta che, nonostante noi manchiamo, tutto continua regolarmente. Quindi, tutti siamo utili, nessuno è indispensabile. Un’ottima strategia è fare tutte le cose come se dipendessero da noi, ma poi compierle come se tutto dipende da Dio.

L’invito di Gesù a mettersi in disparte con lui, significa a non rimanere soli, ma relazionarsi con la sapienza del suo cuore. Mettersi, ancora una volta alla scuola di Dio che ci insegna come agire con le mani attraverso la forza del cuore, della mente e delle forze rigenerate. Ma c’è di più! Gesù ha compassione della folla. Fa sue le esigenze e le lacune che intravvede perché denota che è smarrita, disorientata. Allora innesta la sua forza, il suo insegnamento in loro perché ritrovino, forza, fiducia audacia. Cristo come flebo ricostituente delle debolezze e delle fragilità della nostra vita, della vita umana, della vita di ogni singolo.

Quando regna la sfiducia vuol dire che si è raschiato il fondo e non si trova la forza della reazione, si è alla fine. Se non c’è una mano amica si soccombe. L’implosione dell’animo è la più grande sconfitta. Se non c’è chi ha compassione si muore con se stessi. Ma Gesù proprio per questo è venuto “perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza”. La sua non è una compassione accademica ma concreta ed attuale. Perciò indica la via del riposo per avere dietro a sé una lunga scia di dedicati alle necessità altrui. Solo così le pecore avranno il loro pastore che le guide e si prende cura di loro.