XV Domenica Tempo Ordinario -B

Dio ci chiama e ci mette in viaggio per guarire la vita

 (Amos 7,12-15; Efesini 1,3-14; Marco 6, 7-13)

Ascoltiamo il Vangelo:

In quel tempo, Gesù chiamò a sé i Dodici e prese a mandarli a due a due e dava loro potere sugli spiriti impuri. E ordinò loro di non prendere per il viaggio nient’altro che un bastone: né pane, né sacca, né denaro nella cintura; ma di calzare sandali e di non portare due tuniche. 
E diceva loro: «Dovunque entriate in una casa, rimanetevi finché non sarete partiti di lì. Se in qualche luogo non vi accogliessero e non vi ascoltassero, andatevene e scuotete la polvere sotto i vostri piedi come testimonianza per loro». 
Ed essi, partiti, proclamarono che la gente si convertisse, scacciavano molti demòni, ungevano con olio molti infermi e li guarivano”.

Dio ci chiama per metterci in viaggio. Non ci vuole come contorno alla sua persona. Ci convoca per inviarci. Tutta la storia biblica è un pullulare di esempi: Abramo, Mosè, il popolo d’Israele, Giona….tutti.

Ogni convocazione è sempre per una missione. Ogni chiamata è uno scossone, è un risvegliarsi, un mettersi all’ascolto. Talvolta la chiamata di Dio viene a snidarci, a scomodarci, a scuoterci. Ma Dio ci mette sempre in cammino. I verbi andare, inviare, lasciare, raggiungere, camminare sono musica per gli orecchi di Dio e, per chi li accetta e li fa diventare lo spartito della propria vita, diventano sinfonia che accompagna tutti coloro che si mettono in viaggio.

“Chiamò a sé i Dodici e prese ad inviarli a due a due e dava loro potere sugli spiriti impuri”. Ed essi partono non con la forza e l’eloquenza delle parole, ma con quella del camminare insieme: ”a due a due”. Il potere e l’eloquenza testimoniale come dove essere per tutti coloro che si incamminano per le vie evangeliche. Il primo buon annuncio, la prima bella notizia è quella che il vangelo unisce e lo si dimostra con la comunione fraterna e la condivisione dello stesso impegno e la gioia dello stesso annuncio.

Anche l’equipaggiamento è altamente eloquente perché parla di essenzialità: un bastone. Solo un bastone a sorreggere il passo e un amico a sorreggere il cuore. Per camminare bisogna eliminare il superfluo e andare leggeri. Né pane né sacca né denaro, senza cose, senza neppure il necessario, solo pura umanità, contestando radicalmente il mondo delle cose e del denaro, dell’accumulo e dell’apparire. Più l’annunciatore si fa piccolo più diventa grande l’annuncio. Non l’involucro ma il contenuto, non l’apparenza ma la sostanza.

“Entrati in una casa lì rimanete. Il punto di approdo è la casa, il luogo dove la vita nasce ed è più vera. Il Vangelo deve essere significativo nella casa, nei giorni delle lacrime e in quelli della festa, quando il figlio se ne va, quando l’anziano perde il senno o la salute… Entrare in casa altrui comporta percepire il mondo con altri colori, profumi, sapori, mettersi nei panni degli altri, mettere al centro non le idee ma le persone, il vivo dei volti, lasciarsi raggiungere dal dolore e dalla gioia contagiosa della carne”. La casa, l’intimità domestica, la fucina dei sogni, il luogo del riposo e del ristoro, la sicurezza dei sentimenti. Ecco il punto di interesse del camminare per un discepolo: coloro che abitano la casa. I visi, le storie, le fatiche, le lacrime, le gioie così come appaiono o sono dipinte sui volti di chi la abita.

Si mette in conto anche il rifiuto, anche la difficoltà a farsi accettare. Se in qualche luogo non vi ascoltassero, andatevene, al rifiuto i discepoli non oppongono risentimenti. C’è un’altra casa poco più avanti, un altro villaggio, un altro cuore.

Gesù ci vuole tutti nomadi d’amore, gente che non confida nel conto in banca o nel mattone, ma nel tesoro disseminato in tutti i paesi e città: mani e sorrisi che aprono porte e ristorano cuori.

Ed essi, partiti, proclamarono.

Dio chiama e mette in viaggio per guarire la vita, nostra e degli altri. Lavorare per lui si diventa laboratori di nuova umanità.

don Benito Giorgetta