Nella Sua persona già il significato.

di Giuseppe Gravante, XV Domenica per annum – Anno A – 12 luglio 2015

Is 55, 10-11; Rm 8, 18-23; Mt 13, 1-23

Tu visiti la terra, Signore, e benedici i suoi germogli.

Il vangelo di questa XV domenica del tempo per annum, a prima vista, appare di facile lettura e interpretazione; esso sembra quasi voler ingannare il lettore, tanto da portarlo a pensare che è possibile comprenderne il significato senza sforzi apparenti; ovviamente, però, non è così. La prima parte infatti, conciliandosi con la narrazione di una parabola, si snocciola in prevalenza attorno alla descrizione del contesto ambientale in cui ci si trova: il mare, la barca, la spiaggia ecc.; la seconda, invece, fungendo da tessuto connettivo si pone come intermezzo; la terza, infine, espone i significati della parabola stessa.

Il centro del discorso parabolico è pertanto costituito dalla narrazione della semina operata dal buon contadino; quello della sua spiegazione, al contrario, si avviluppa attorno ai quattro tipi di terreno che il seminatore si trova a dover fronteggiare. In tal senso, allora, si può affermare l’evidenza di un’evoluzione, la messa in atto di un percorso di crescita slacciato dalla mera esibizione di un discorso esplicativo.

Una domanda allora verrebbe da porsi: “Perché alcuni non comprendono?” e, unitamente a questa: «Perché Gesù parla in parabole alle folle e chiaramente ai discepoli?». In buona sostanza, si può evincere come l’interrogativo postumo consista nel domandarsi il perché alcuni intendono e altri no.

La predicazione di Gesù si rivolge alla molteplicità indifferenziata delle persone che ascoltano; egli non pone distinzioni di sorta, proclama la lieta novella del Regno sulle coordinate di un annuncio e non di un insegnamento. Gesù stesso è «il seminatore» (Mt 13, 3); mentre egli narra la parabola, nella sua persona è già possibile vederne attuato il significato. Si comprende allora, come non sia la terza parte del discorso a illustrarne il nucleo, bensì Gesù stesso attraverso la sua “catechesi”.

Il seminatore esce per i campi a seminare secondo sua libera iniziativa, si mette in cammino sotto il sole mosso dal desiderio di “comunicare” la vita. La Parola del Regno dunque, è un dono elargito da Dio in profonda libertà, esso è Parola annunciata senza classificazioni di sorta. Il seme, una volta gettato, si tinge dei coloriti tipici di una sua storia; una storia formalmente fallimentare, dipanata tra quattro terreni di cui tre improduttivi; ma nutrita, allo stesso tempo, dalla consapevolezza che il difetto non è nel seme, ma nel suo recettore: il terreno. È l’indisponibilità dell’uomo all’ascolto che rende vano il sacrificio del seme. La sua stessa natura, costituita libera da sempre, istituisce il paradigma della possibilità di declinare l’invito di Dio ad accogliere i doni.

Allora, solo aprendo il proprio cuore all’ascolto si può incominciare a dar forma a un itinerario di crescita; solo scardinando i portoni dell’indifferenza si può coltivare un terreno buono. Per questo motivo Gesù conclude con una nuova beatitudine caratteristica dei credenti: «Beati i vostri occhi perché vedono e i vostri orecchi perché ascoltano» (Mt 13, 17). I due verbi, pertanto, su cui si gioca la vicenda del credente sono quelle dell’ascoltare e del comprendere; essi costituiscono l’atteggiamento di colui che è capace di porgere l’orecchio, di offrire disponibilità libera e non pretenziosa, di tradurre in prassi di vita l’appello della Parola.

In questa logica, si dischiude la lotta spirituale contro ciò che indurisce il cuore; contro ciò che, pur udendo, non ci permette di comprendere. È lo scontro contro il Maligno che ruba la Parola, contro l’incostanza che non resiste alle tribolazioni, contro le «preoccupazioni del mondo e la seduzione della ricchezza» (Mt 13, 22), che permette di essere terreno buono. Solo il risultato di questa inesausta lotta giunge finalmente a dare frutto, le perseveranza nella tribolazione a far germogliare il seme donatoci nella vita di fede e di orazione.