Il primato assoluto di Dio

(1Re 19, 16.19-21; Gàlati 5, 1.13-18; Luca 9, 51-62)

Ascoltiamo il Vangelo:

“Mentre stavano compiendosi i giorni in cui sarebbe stato elevato in alto, Gesù prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme e mandò messaggeri davanti a sé.
Questi si incamminarono ed entrarono in un villaggio di Samaritani per preparargli l’ingresso. Ma essi non vollero riceverlo, perché era chiaramente in cammino verso Gerusalemme. Quando videro ciò, i discepoli Giacomo e Giovanni dissero: «Signore, vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi?». Si voltò e li rimproverò. E si misero in cammino verso un altro villaggio.
Mentre camminavano per la strada, un tale gli disse: «Ti seguirò dovunque tu vada». E Gesù gli rispose: «Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo».
A un altro disse: «Seguimi». E costui rispose: «Signore, permettimi di andare prima a seppellire mio padre». Gli replicò: «Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; tu invece va’ e annuncia il regno di Dio».
Un altro disse: «Ti seguirò, Signore; prima però lascia che io mi congedi da quelli di casa mia». Ma Gesù gli rispose: «Nessuno che mette mano all’aratro e poi si volge indietro, è adatto per il regno di Dio»”.

Ci sono delle cose nella vita, come per esempio in campo matematico, dove i numeri impongono una loro logica ed è pacifico accettarne le regole non come imposizione ma necessità. Il 9, per esempio, viene prima del 10 e dopo l’otto e nessuno si può sottrarre da questa evidenza. In campo climatico la primavera viene prima dell’estate, in campo biologico un genitore nasce prima dei propri figli e così via. In campo religioso e quindi relazionale con Dio è inevitabile che lui debba sempre e comunque avere il primato rispetto a tutto il resto.

Nel suo commento al Padre nostro, san Cipriano afferma: “Nulla assolutamente anteporre a Cristo, poiché neppure lui ha preferito qualcosa a noi” questo pensiero viene poi ripreso anche da san Benedetto nella sua regola. E da allora è stato ed è un faro che illumina e guida tutta la ricca esperienza del monachesimo.

Il vangelo odierno sembra essere particolarmente esigente e quasi arrogante. Gesù vuole per sé la nostra attenzione e non ammette distrazioni. “Nessuno che mette mano all’aratro e poi si volge indietro, è adatto per il regno di Dio”. Ma come mai questa perentorietà? Certamente non è escludente tutte le necessità e le incombenze a cui la vita ci chiama. L’amore che siamo chiamati, vocazionalmente,  ad esprimere nei confronti di Dio non entra in conflitto col resto della nostra vita. Anzi, proprio nei solchi delle nostre giornate, del quotidiano, nelle cose semplici ed umili dobbiamo essere capace di amare facendo tutto con amore e dedizione. Dio è la sorgente e noi non possiamo fare a meno di dissetarci ad essa per imparare ad amare. Dall’amore verso di lui dipende tutto il resto della nostra vita.

D’altra parte il primato a Dio non glielo consegniamo noi, gli appartiene per condizione e non è subordinato al nostro riconoscimento. E’ felice colui che lo accetta e si sforza di viverlo in pienezza. Difatti Dio non ferma a sé il nostro amore ma continuamente ci chiama ad amarci gli uni gli altri. Come una lampadina non si può accendere senza che la spina sia inserita in una presa di corrente, così noi non possiamo amare niente e nessuno se non siamo continuamente alimentati dall’amore di Dio, per questo necessita che il suo primato non sia mai insidiato ma resti ben saldo nel nostro cuore come certezza da vivere e come progettualità da programmare.