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La croce di Cristo segno e strumento vertiginoso dell’amore di Dio

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La croce di Cristo segno e strumento vertiginoso dell’amore di Dio

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Domenica delle Palme

La croce di Cristo segno e strumento vertiginoso dell’amore di Dio

 (Isaia 50, 4-7; Filippesi 2, 6-11; Matteo 26, 14-27-66) 

Ascoltiamo il Vangelo:

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“…Mentre uscivano, incontrarono un uomo di Cirene, chiamato Simone, e lo costrinsero a portare la sua croce. Giunti al luogo detto Gòlgota, che significa «Luogo del cranio», gli diedero da bere vino mescolato con fiele. Egli lo assaggiò, ma non ne volle bere. Dopo averlo crocifisso, si divisero le sue vesti, tirandole a sorte. Poi, seduti, gli facevano la guardia. Al di sopra del suo capo posero il motivo scritto della sua condanna: «Costui è Gesù, il re dei Giudei». Insieme a lui vennero crocifissi due ladroni, uno a destra e uno a sinistra.Se tu sei Figlio di Dio, scendi dalla croce! Quelli che passavano di lì lo insultavano, scuotendo il capo e dicendo: «Tu, che distruggi il tempio e in tre giorni lo ricostruisci, salva te stesso, se tu sei Figlio di Dio, e scendi dalla croce!». Così anche i capi dei sacerdoti, con gli scribi e gli anziani, facendosi beffe di lui dicevano: «Ha salvato altri e non può salvare sé stesso! È il re d’Israele; scenda ora dalla croce e crederemo in lui. Ha confidato in Dio; lo liberi lui, ora, se gli vuol bene. Ha detto infatti: “Sono Figlio di Dio”!». Anche i ladroni crocifissi con lui lo insultavano allo stesso modo.Elì, Elì, lemà sabactàni? A mezzogiorno si fece buio su tutta la terra, fino alle tre del pomeriggio. Verso le tre, Gesù gridò a gran voce: «Elì, Elì, lemà sabactàni?», che significa: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?». Udendo questo, alcuni dei presenti dicevano: «Costui chiama Elia». E subito uno di loro corse a prendere una spugna, la inzuppò di aceto, la fissò su una canna e gli dava da bere. Gli altri dicevano: «Lascia! Vediamo se viene Elia a salvarlo!». Ma Gesù di nuovo gridò a gran voce ed emise lo spirito…”.

La croce, quella sulla quale è salito Gesù per salvarci, è il segno dell’amore vertiginoso di Dio per ogni uomo, di ogni tempo. È l’abito che Dio ha confezionato per suo figlio. Cucito su misura apposta per lui, lo indossa liberamente, generosamente. La gratuità è il suo segno caratteristico. Non si deve meritare. L’amore non si merita, si accoglie. E Gesù ci ama senza che lo meritiamo. Ci ama a prescindere da che cosa ne faremo del suo amore. Ci ama per amore. Per lui è una necessità amarci e amarci in modo apicale, supremo. Oltre non è possibile perché ci ama adonandoci la vita. “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici” (Giovanni 15, 12-17).

La croce è un dramma, un fallimento, un patibolo. La croce è una sconfitta, una punizione. La croce è mortifera, è portatrice di morte. Tutto questo ad uno sguardo distratto e secondo la mentalità tipicamente e riduttivamente umana. Ciò che per l’uomo è stoltezza per Dio è sapienza. “La parola della croce, infatti, è stoltezza per quelli che vanno in perdizione, ma per quelli che si salvano, per noi, è potenza di Dio” (1Corinzi 1,18). Dio ha scelto di morire, non muore accidentalmente. Lui è immortale. La morte l’ha scelta e se l’è imposta. Qui risiede tutta l’onnipotenza di Dio: ha fatto ciò che per Dio è impossibile, incompatibile, scandaloso.

Ma Cristo ancora oggi è crocifisso. Occorre stargli accanto, individuarlo e non fuggire come, a suo tempo, fecero tutti i suoi amici. Ancora oggi si sfugge davanti alle croci umane. I poveri, gli ammalati, i soli, gli esclusi, i delusi, gli scartati quando rimangono soli sono i crocifissi abbandonati. Ogni volta che non siamo capaci di porre le nostre spalle sotto le croci degli altri, siamo dei traditori. Ogni volta che non vogliamo depositare il nostro sguardo sulle sofferenze altrui siamo fratricidi. Ogni volta che non denunciamo le croci che vengono imposte sulle spalle dei popoli sfruttati, sulle persone che crediamo non contino nulla. Quando non lottiamo per liberare coloro a cui vengono imposte le croci dell’indifferenza, dell’esclusione, della non considerazione, siamo come gli apostoli che sono fuggiti dinanzi al loro maestro lasciandolo solo, abbandonato.

Sulla croce di Cristo è scritto il racconto dell’amore di Dio per l’umanità con l’alfabeto delle ferite, con l’inchiostro del suo sangue. E tutto è dono. Non sono i chiodi che tengono affisso sulla croce il figlio di Dio ma l’amore per noi e la fedeltà a Dio che gli ha chiesto l’immolazione sacrificale, come vittima, per salvarci. Ogni volta che ci segniamo col segno della croce dobbiamo tracciare su di noi la mappa dell’amore di Dio. Dobbiamo fare memoria cosa è costato a lui amarci. Rifocillati e saziati da questo amore siamo chiamati ad amare e non lasciare soli coloro che gli somigliano perché anch’essi crocifissi come lui. La speranza è una sola. La croce è una “collocazione provvisoria” (don Tonino Bello). Al di là, dopo di lei, ci sarà la vita. La risurrezione.

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Don Benito Giorgetta
Don Benito Giorgetta
BENITO GIORGETTA (1955), sacerdote della diocesi di Termoli-Larino, parroco di San Timoteo in Termoli (Campobasso), licenziato in Sacra Teologia con specializzazione in Mariologia. Dottore in Bioetica, è giornalista pubblicista. Già docente di Teologia Morale della Sessualità e Bioetica presso l’Istituto Teologico Abruzzese-Molisano di Chieti. Presidente dell’Associazione “Iktus – Onlus”.

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