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Acqua, luce e vita. Il trittico della compassione divina

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Acqua, luce e vita. Il trittico della compassione divina

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V Domenica di Quaresima

Acqua, luce e vita. Il trittico della compassione divina

(Ezechiele 37,12-14; Romani 8,8-11; Giovanni 11,1-45)

Ascoltiamo il Vangelo:

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“Le sorelle mandarono dunque a dire a Gesù: «Signore, ecco, colui che tu ami è malato».
All’udire questo, Gesù disse: «Questa malattia non porterà alla morte, ma è per la gloria di Dio, affinché per mezzo di essa il Figlio di Dio venga glorificato». Gesù amava Marta e sua sorella e Lazzaro. Quando sentì che era malato, rimase per due giorni nel luogo dove si trovava. Poi disse ai discepoli: «Andiamo di nuovo in Giudea!».  Quando Gesù arrivò, trovò Lazzaro che già da quattro giorni era nel sepolcro. Betània distava da Gerusalemme meno di tre chilometri e molti Giudei erano venuti da Marta e Maria a consolarle per il fratello. Marta, dunque, come udì che veniva Gesù, gli andò incontro; Maria invece stava seduta in casa. Marta disse a Gesù: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto! Ma anche ora so che qualunque cosa tu chiederai a Dio, Dio te la concederà». Gesù le disse: «Tuo fratello risorgerà». Gli rispose Marta: «So che risorgerà nella risurrezione dell’ultimo giorno». Gesù le disse: «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno. Credi questo?». Gli rispose: «Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo». Si commosse profondamente e, molto turbato, domandò: «Dove lo avete posto?». Gli dissero: «Signore, vieni a vedere!». Gesù scoppiò in pianto. Dissero allora i Giudei: «Guarda come lo amava!». Ma alcuni di loro dissero: «Lui, che ha aperto gli occhi al cieco, non poteva anche far sì che costui non morisse?».
Allora Gesù, ancora una volta commosso profondamente, si recò al sepolcro: era una grotta e contro di essa era posta una pietra. Disse Gesù: «Togliete la pietra!». Gli rispose Marta, la sorella del morto: «Signore, manda già cattivo odore: è lì da quattro giorni». Le disse Gesù: «Non ti ho detto che, se crederai, vedrai la gloria di Dio?». Tolsero dunque la pietra. Gesù allora alzò gli occhi e disse: «Padre, ti rendo grazie perché mi hai ascoltato. Io sapevo che mi dai sempre ascolto, ma l’ho detto per la gente che mi sta attorno, perché credano che tu mi hai mandato». Detto questo, gridò a gran voce: «Lazzaro, vieni fuori!». Il morto uscì, i piedi e le mani legati con bende, e il viso avvolto da un sudario. Gesù disse loro: «Liberàtelo e lasciàtelo andare».
Molti dei Giudei che erano venuti da Maria, alla vista di ciò che egli aveva compiuto, credettero in lui”.

Acqua, luce, vita. Il trittico della compassione divina. Esso, col vangelo di questa domenica si completa: samaritana, cieco nato, Lazzaro. Il coinvolgimento da parte di Gesù nei primi due casi è generico come sconosciuto è il nome dei protagonisti. Nella circostanza di Lazzaro si tratta di un amico. Per lui, avendo saputo che è morto, Gesù Piange. Lacrime di Dio. Lacrime di amicizia. Lacrime che raccontano l’umanità di Dio. Anche il volto di Dio-uomo è stato solcato da lacrime. Esse hanno disegnato il loro percorso sulla faccia di Gesù, mentre scendevano. Un Dio umano. Un Dio amico. Un Dio amante della vita.

Avendo saputo che il suo amico Lazzaro era malato, Gesù si ferma, sosta. Attende. Quando va a Betania, ormai è tardi, Lazzaro era già morto da “quattro giorni”. Ma lui, benché commosso fino alle lacrime, rimane fiducioso. Ordina di aprire la tomba togliendo la pietra. “Lazzaro, vieni fuori!”, grida Gesù dopo aver invocato il padre. “Il morto uscì”.

Quanto macigni abbiamo nel cuore? Quanti fallimenti registriamo nella nostra vita? Se confidiamo nel Signore tutto può trasformarsi. Tutto risuscita. Anche quando c’è l’evidenza della morte, della disfatta. Anche quando emaniamo puzze cadaveriche. La forza dell’amore amicale di Gesù per il suo amico si sprigiona causandone la risurrezione. Ecco la pista tracciata per il sentiero di ogni amicizia. Essere liberatori, soccorritori delle altrui necessità.

Le lacrime sono collirio di bellezza e lenti d’ingrandimento per vedere meglio, per scandagliare il cuore umano, per scendere in profondità e non fermarci all’ingannevole apparenza. Benedette lacrime quelle che ci aiutano a togliere la sporcizia dai nostri occhi. Quelle che detergono, rendono limpido e trasparente lo sguardo.

Dobbiamo imparare ad essere portatori, suscitatori di vita, di risurrezione. Togliere e non scagliare ulteriori pietre sulle debolezze e fragilità che incontriamo. Gesù è maestro di stile e di attenzioni. Fa suo il pianto e il dispiacere delle sorelle di Lazzaro. Non poteva essere diversamente visto che spesso per lui Betania era luogo di ristoro e di condivisione come ospite abituale di Marta, Maria e Lazzaro.

Dove e quando Gesù interviene c’è vita recuperata, risorta; c’è acqua che disseta; c’è luce che illumina. Questi tre elementi sono indispensabili. A chi li ha perduti, a chi non li conosce, a chi non se ne cura, Gesù insegna che occorre averli. Ecco perché la samaritana, il cieco nato e Lazzaro siamo tutti noi. Tutta l’umanità, ogni individuo. Tutti coloro che hanno sete di amore di verità, di giustizia saranno dissetati ed erogheranno loro stessi acqua vera, acqua sorgiva dal proprio cuore. A chi necessita di luce Gesù ricorda che ognuno è “luce e sale”. A chi è portatore di morte relazionale, professionale, comunitaria, esistenziale, Gesù assicura che toglierà la pietra e chiamerà a vita. Occorre crederci. “chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno”.

 

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