“Inizio del vangelo di Gesù, Cristo, Figlio di Dio. 
Come sta scritto nel profeta Isaìa:
«Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero:
egli preparerà la tua via.
Voce di uno che grida nel deserto:
Preparate la via del Signore,
raddrizzate i suoi sentieri»,
vi fu Giovanni, che battezzava nel deserto e proclamava un battesimo di conversione per il perdono dei peccati. 
Accorrevano a lui tutta la regione della Giudea e tutti gli abitanti di Gerusalemme. E si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati. 
Giovanni era vestito di peli di cammello, con una cintura di pelle attorno ai fianchi, e mangiava cavallette e miele selvatico. E proclamava: «Viene dopo di me colui che è più forte di me: io non sono degno di chinarmi per slegare i lacci dei suoi sandali. Io vi ho battezzato con acqua, ma egli vi battezzerà in Spirito Santo»”.

Come il segnale stradale, posto sul ciglio della strada, indica il percorso da effettuare per raggiungere la meta, ma non è lui la destinazione; così chi parla, in vece di qualcuno, dona indicazioni ma non deve fermare a sé. Il terminal è colui del quale parla e non se stesso.

Giovanni il battezzatore, pur essendo un uomo rispettato, quasi temuto, per via della sua austerità, è stato colui che ha indicato il percorso per arrivare a Gesù e non ha proposto se stesso come maestro e guida, non ha preteso d’essere il traguardo, ma colui che lo indica. Consapevole di questo ruolo di annunciatore, di precursore, ha affermato, con grande umiltà: ”Viene dopo di me colui che è più forte di me: io non sono degno di chinarmi per slegare i lacci dei suoi sandali. Io vi ho battezzato con acqua, ma egli vi battezzerà in Spirito Santo”.

L’apertura di credito che dobbiamo dare a colui che Giovanni ci indica deve essere totale. Lo testimonia la sua stesa vita, il suo esempio, s’inchina dinanzi al più grande, a colui che porterà la salvezza. Il mondo di oggi ha necessità d’inchinarsi alla potestà di Dio. Pur sovrastato dalle tenebre, dalle incertezze, dalle crisi, deve credere che la soluzione di tutto non viene dalla sua mente, nobile ed elevata, ma dalla misericordia di Dio. Solo lui ha “parole di vita eterna”. Dio parla al cuore dell’uomo, alla sua intimità, gli sussurra quelle parole che cambiano la vita, che risollevano dalla depressione, che riaccendono la speranza, che fanno ripartire il motore delle emozioni vere, delle decisioni corrette. Dio non chiede nulla e dona tutto. Ci chiama a sé perché ha da donarci la sua vita senza chiedere la nostra anzi, vuole che noi siamo nella gioia e si augura che sia piena. Desidera che la nostra vita sia fruttuosa, apportatrice di frutti in abbondanza. Se il nostro albero è infruttifero è necessario praticare l’innesto, che fa sperare nella fioritura primaverile e nel raccolto autunnale.

Innestare la nostra vita in quella di Dio che viene a liberarci. Mettere il lievito nuovo nell’impasto dell’esistenza significa conoscere la crescita e la trasformazione dei sentimenti, delle parole, delle scelte.

Come Giovanni è stato annunciatore e testimone di qualcuno, suscitando ammirazione e consensi, così noi, con la nostra vita personale e, soprattutto, comunitaria dobbiamo trasmettere agli altri la forza di colui che abbiamo incontrato, conosciuto e abbracciato: l’amore di Dio. “Prepariamo dunque la via al Signore, raddrizziamo i nostri sentieri”, sintonizziamo la vita su quella di Dio, ritroviamo la bussolo dell’esistenza impostandola sulle vie di Dio. Allora lo incontreremo e conosceremo la gioia e l’intensità del suo abbraccio paterno. Perciò si è incamminato verso di noi e noi dobbiamo dirigerci verso lui.