“In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Come furono i giorni di Noè, così sarà la venuta del Figlio dell’uomo. Infatti, come nei giorni che precedettero il diluvio mangiavano e bevevano, prendevano moglie e prendevano marito, fino al giorno in cui Noè entrò nell’arca, e non si accorsero di nulla finché venne il diluvio e travolse tutti: così sarà anche la venuta del Figlio dell’uomo. Allora due uomini saranno nel campo: uno verrà portato via e l’altro lasciato. Due donne macineranno alla mola: una verrà portata via e l’altra lasciata. Vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà. Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora della notte viene il ladro, veglierebbe e non si lascerebbe scassinare la casa. Perciò anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo»”.
Inizia un nuovo anno liturgico ed è fortemente connotato dal tempo dell’attesa. Dio si incammina verso l’uomo. Da sempre l’uomo è stato alla ricerca di Dio ma non l’ha mai trovato o si è illuso d’averlo incrociato ma, amaramente, ha dovuto riconoscere d’essersi sbagliato. Siccome è anche vivo desiderio di Dio stesso incrociare l’uomo, da lui creato, constatata la sua incapacità a riconoscerlo, si mette in cammino lui stesso. Decide di rivelarsi, manifestarsi. Accade una sorta di doppia attrazione: una, quella di Dio, verso il basso, l’altra, quella dell’uomo, verso l’alto.
Questo doppio desiderio diventerà un abbraccio nel momento in cui il Verbo diventerà carne nel grembo verginale di Maria. Finalmente ci sarà il congiungimento, l’incontro. Ma prima della nascita c’è un tempo di gestazione, di attesa. Come un bimbo generato ha necessità di nove mesi per venire alla luce, liturgicamente, c’è uno spazio di alcune domenica per prepararci all’evento della nascita di Dio.
Ma, nella storia, nel vissuto quotidiano, nelle pieghe della vita, nelle modulazioni sentimentali, negli eventi, Dio continuamente si manifesta. E’ in mezzo a noi. Occorre riconoscerlo, leggerlo, scoprirlo. Occorre una buona dose di umiltà, il coraggio della fede, la sfida della speranza per avere occhi che percepiscono la presenza di Dio. Al tempo di Noè ci fu lo scossone del diluvio per accorgersi che qualcosa era accaduto. Nella storia di ogni giorno ci sono tanti avvenimenti che ci parlano di Dio: la natura con la sua ciclica bellezza che si riveste di splendore primaverile, di rigore invernale, di letizia estiva e di decadenza autunnale; le catastrofi, portatrici di morte, come il terremoto, le alluvioni, le valanghe. Il sorriso di un bimbo che nasce, l’incedere incerto di un vecchio appesantito dalla sua debolezza. Gli sbarchi continui di popolazioni che lasciano la laro terra e corrono, animati dalla speranza, verso miraggi di lavoro, di libertà, di dignità.
Tutto ci parla di Dio, tutto ci racconta della sua paternità. Occorre un nuovo collirio per vederci meglio, una protesi auricolare per ascoltare la sua voce, un cuore nuovo perché “l’uomo di oggi soffre di cardiosclerosi” (Papa Francesco). “Ascoltare come bambini, guardare come innamorati” allora si sente bene, si vede meglio, si ama di più. E il cuore guarisce. Si fasciano le ferite, si ricuciono gli strappi, si riducono le distanze, si abbracciano i cuori. Avvento: tempo di attesa, occasione di vigilanza, richiamo per un incontro. Così si deve vivere questo tempo: accorgersi che non siamo soli, ci sono gli altri, c’è Dio. Esercitiamoci a riconoscerlo, accoglierlo, e ci sarà l’abbraccio tra la sua grandezza e la nostra povertà.