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Fatti non siamo per il sepolcro ma per ribaltare la pietra tombale

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Fatti non siamo per il sepolcro ma per ribaltare la pietra tombale

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Pasqua di Risurrezione

Fatti non siamo per il sepolcro ma per ribaltare la pietra tombale

 (Atti 10,34a.37-43; Colossesi 3,1-4; Giovanni 20,1-9)

Ascoltiamo il Vangelo:

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“Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro. 
Corse allora e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!». 
Pietro allora uscì insieme all’altro discepolo e si recarono al sepolcro. Correvano insieme tutti e due, ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò. 
Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là, e il sudario – che era stato sul suo capo – non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte. 
Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. Infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti”.

     La preoccupazione delle donne che, di buon mattino, si recano al sepolcro non è tanto come fare per imbalsamare Gesù, ma come ribaltare la pietra posta a custodia dell’ingresso del sepolcro. Era un ostacolo fisico. Ma non si accorgono che il vero ostacolo, il vero macigno,  era la loro incredulità. Gesù lo aveva più volte affermato. In modo criptico sì, ma aveva detto che sarebbe risorto. “Bisogna che il figlio dell’uomo sia consegnato in mano ai peccatori, sia crocifisso e risorga il terzo giorno” (Luca 24, 7). La loro fede è ancora acerba, dormiente, assente. Alla latitanza della loro fede supplisce ampiamente la potenza di Dio. Trovano il sepolcro senza la pietra. Rotolata via. “Il sepolcro è spalancato, aperto come il guscio di un seme, vuoto e risplendente, nel fresco dell’alba. E nel giardino è primavera”. Maria di Magdala senza verificare corre a denunciare a Pietro che hanno rubato il corpo di Cristo: “Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!”.

     La notizia è sconvolgente al punto che Pietro e il discepolo protagonista dell’episodio corrono per andare a verificare. Giunti sul luogo Pietro entra e constata che la tomba è vuota. Poi anche l’altro discepolo giunto prima di lui verifica e crede.

     Non poteva restare preda della morte colui che ha creato la vita. La morte non poteva esercitare il suo potere in colui che l’ha sperimentata per sconfiggerla. Gesù risorge perché ridona la vita alla morte. Non poteva la morte essere la parola definitiva su colui che con la parola ha creato cielo e terra e ha donato il suo soffio vitale sull’argilla rendendolo uomo. Persona. Sua immagine e somiglianza.

Con la Pasqua cioè col passaggio dalla morte alla vita la speranza riprende vigore. L’oltre diventa il protagonista. La vita viene seminata nel cuore dell’uomo con germogli di speranza, di futuro, di trascendenza, desiderio di eternità. L’uomo fatto di terra non è destinato alla terra ma è stato eletto per il cielo. L’uomo della finitudine è chiamato a nobilitare sé stesso con l’amore di Dio. Ma c’è chi arriva prima e chi dopo a comprendere e vivere questa ricchezza. Come al sepolcro vuoto giungono in tempi differenti e il più veloce attende il ritardatario così chi per primo dischiude il cuore alla verità di Dio si deve fare carico di contagiare chi ha maggiori difficoltà a dischiudersi al tepore dell’amore di Dio.

Quante tombe ancora oggi sono scavate nelle rocce del nostro cuore ferito e graffiato. Morso e lacerato dalla malattia, impoverito dalla mancanza di sussistenza. Abbrutito dalla dignità calpestata, dall’indifferenza fratricida. Sterilizzato dallo sfruttamento e dal dilagare imperante della dittatura dell’individualismo. Tradito e deluso dall’attrazione del piacere facile, comodo e narcotizzante. Quanti volti tristi, quante mappe di sofferenze disegnate sul volto di tanti fratelli delusi, sconfitti, soli. In tutte queste vite, in queste situazioni, Cristo deve risorgere, si debbono spalancare le porte e debbono essere spostati i sassi, ribaltate le pietre che ostruiscono i passaggi, rimossi i motivi che determinano tanta deturpazione. Per tutti ci deve essere risurrezione, cambiamento, speranza. Cristo ha vinto la morte. La forza della sua vittoria deve essere da noi distribuita a favore di chi ne ha bisogno.

 Molti credono d’essere naufragati nel mare della vita. Di essere inutili, non stimati e apprezzati, non valorizzati. La solidarietà dei fratelli, la mia, debbono restituire loro dignità e speranza. Occorre riaccendere i motori della rinascita. Anche per loro deve iniziare un nuovo itinerario, un progetto inedito, tessuto dalla trama e dall’ordito della fraternità e dalla solidarietà, il bene comune voluto, progettato e occasionato per tutti è lo spazio in cui non si costruiscono terminal ma mappe di nuovi sviluppi, occasioni ed opportunità. Pasqua è anche questo: dignità progettuale e condivisione di presenza, vita nuova, fioritura primaverile e tepore di fraternità.   

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Don Benito Giorgetta
Don Benito Giorgetta
BENITO GIORGETTA (1955), sacerdote della diocesi di Termoli-Larino, parroco di San Timoteo in Termoli (Campobasso), licenziato in Sacra Teologia con specializzazione in Mariologia. Dottore in Bioetica, è giornalista pubblicista. Già docente di Teologia Morale della Sessualità e Bioetica presso l’Istituto Teologico Abruzzese-Molisano di Chieti. Presidente dell’Associazione “Iktus – Onlus”.

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