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XIII domenica del Tempo Ordinario – Anno B – 28 giugno 2015

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XIII domenica del Tempo Ordinario – Anno B – 28 giugno 2015

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Il miracolo della fede

Sap 1, 13-15; 2, 23-24; 2Cor 8, 7.9.13-15;Mc 5, 21-43

Ti esalterò, Signore, perché mi hai sollevato.

La Parola di Dio di questa XIII domenica del tempo per annum si mostra senza far attendere (come sempre del resto) in tutta la sua ricchezza ed efficacia. In un primo momento, infatti, la narrazione marciana del vangelo ci presenta l’episodio della guarigione di una donna emorroissa, che s’inserisce quasi in parentesi nella vicenda altrettanto dolorosa del capo della sinagoga Giàiro, afflitto per la malattia della figlioletta.

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Procedendo per gradi e per ciò che concerne la vicenda dell’emorroissa, si potrà osservare la presenza dell’episodio sia nel vangelo di Marco sia in quello di Luca e come tra questi, inoltre, vi sia una sostanziale diversità di approccio. In Marco, infatti, a differenza di Luca, è ben accentuata la polemica contro i medici del tempo, nonostante entrambi siano concordi nel riconoscerne l’inefficacia dell’operare. Luca, evidentemente, diluisce le accuse al fine di non esporre a derisione la casta di cui lui stesso era membro; Marco, dal canto suo, affonda il colpo incurante di tutto ciò. È chiara la polemica, ma con ciò non si deve pensare a un’avversione nei confronti del metodo scientifico; il piano d’azione, in realtà, è di natura teologica.

Dal libro della Sapienza (I lettura) si evince il nucleo fontale di tale teologia: «Dio non ha creato la morte e non gode per la rovina dei viventi» (Sap 1, 13). Dio, allora, è l’amante per eccellenza della vita, Egli non può desiderare la morte: come il sole non può generare il freddo così Dio non può generare il male. In questa logica, la narrazione evangelica ne è palese conferma. Gesù compie due miracoli, uno inserito nello svolgimento dell’altro, ma entrambi ricchi di significato. A una donna dalla vita languente perché “ossidata” da un male inarrestabile e a una bimba, già preda della morte, Gesù restituisce la vita.

I due episodi si manifestano in tutto il loro scandalo esistenziale. È inaccettabile la morte di una bambina, di un fiore che deve ancora schiudersi e che innanzi a sé ha tutta la vita da percorrere. La donna, invece, perde sangue da molti anni. II sangue è l’emblema della vita, sia a livello naturale sia simbolico. L’emorroissa, per la sua condizione patologica, perde progressivamente la vita. Essa è metafora efficace dell’umanità che, dallo stesso istante della nascita, cede verso la morte. Parafrasando Leopardi nel Canto notturno di un pastore errante dell’Asia: La vita umana è una corsa affannosa verso la morte.

Ogni situazione, nel suo limite, non fa altro che rivelare l’esiguità e l’impotenza dell’uomo di fronte a esse; evidenziando, però, anche l’atteggiamento misericordioso di Gesù, vero faro di speranza e volto di Dio rivolto alla debolezza umana stessa. Il vangelo, allora, nel suo dire, mette in luce ciò che corrisponde al giusto atteggiamento da osservare: la preghiera, contrapposta questa allo scoraggiamento. Di essa sono possibili due modalità: da un lato, la preghiera verbosa, come nel caso di Giàiro; dall’altro, quella non manifesta della donna. Una sorta di monologo interiore quest’ultima, ma che carica d’intenzionalità il gesto.

Ognuno, allora, giunge a Dio dotato di un proprio linguaggio: Giàiro dicendo parole, la donna ricercando il contatto fisico. In entrambi, però, una rottura, un’infrazione dell’ordine costituito. Giàiro è «uno dei capi della sinagoga» (Mc 5, 22); la donna, impura per condizione, tocca Gesù trasmettendogli la sua stessa impurità. La speranza in Gesù, evidentemente, li spinge a infrangere i limiti sociali o cultuali imposti. Giàiro suscita una reazione consapevole in Gesù, che decide di andare a casa sua. L’emorroissa, invece, è graziata da una sorta d’inconsapevolezza del Maestro: «E subito Gesù, essendosi reso conto della forza che era uscita da lui, si voltò alla folla dicendo: “Chi ha toccato le mie vesti? (Mc 5, 30).

La fede, in conclusione, è il centro esistenziale della narrazione, non i miracoli compiuti. Dice Gesù alla figlioletta di Giàiro: «Figlia, la tua fede ti ha salvata. Va’ in pace e sii guarita dal tuo male» (Mc 5, 34). Toccato dalla donna, invece, Gesù sente fuoriuscire da lui una forza. Anche qui, è la fede della donna a provocare il miracolo. La forza che Gesù sente uscire da sé esprime tutto il dinamismo della vita, ripercorrendo le tappe essenziali dell’incarnazione del Figlio. Il Dio biblico, infatti, è amante della vita; la morte è entrata nel mondo per opera del male ma il Figlio si è incarnato per assumere su di sé tutta la debolezza umana: è entrato nella vita terrena per far rientrare noi nella vita del Padre.

Giuseppe Gravante

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Giuseppe Gravante
Giuseppe Gravantehttp://www.spesalvi.it
Teologo della Liturgia. È docente di Liturgia presso l'Istituto di Musica Sacra e presso l'Istituto per la formazione laicale "J. Ratzinger" della Diocesi di Termoli-Larino. Nell'Arcidiocesi di Chieti-Vasto, è docente di Religione Cattolica. Ha studiato Filosofia e Teologia presso la Pontificia Università Lateranense, Archivistica Storica e Biblioteconomia presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e ha approfondito la propria formazione liturgica (attraverso seminari e corsi) presso i Pontifici Istituti Liturgici di "S. Anselmo" in Roma e di "S. Giustina" in Padova. È direttore del sito web di cultura e informazione cattolica SpeSalvi.it; collabora con diverse testate online di natura filosofico-teologico e con testate giornalistiche locali. Per Tau Editrice (febbraio 2016): Culmine e Fonte. L’evoluzione della Messa dal Concilio di Trento alla riforma del Vaticano II.

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