Ascoltiamo il Vangelo:

“Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro.  Corse allora e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!».  Pietro allora uscì insieme all’altro discepolo e si recarono al sepolcro. Correvano insieme tutti e due, ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò.  Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là, e il sudario – che era stato sul suo capo – non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte.  Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. Infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti”.

 

Nel buio della notte natalizia Dio scrive il suo nome nell’anagrafe umana ed inizia la sua presenza nella storia degli uomini. Nel buio della notte pasquale ridona vita alla morte sconfiggendola con la forza della vita e dell’amore che lo avevano portato a morire sulla croce.  Da due notti abitate da Dio, nasce l’alba per la vita dell’uomo.

E’ terminato, perché è durato poco, il tempo del dolore, dell’odio, del tradimento, dell’abbandono, della morte. Con la sua forza dirompente, l’amore di Dio sconfigge ogni tristezza, paura e dolore, finanche la morte. Ha dissipato la notte del cuore di Pietro, ha dissolto le tenebre che avevano pervaso i suoi che, per paura sono fuggiti. La notte per lui è chiara come il giorno. Occorre il collirio della speranza per vedere la sua luce. Quella luce che si intravvede anche quando è ancora buoi come il contadino nel seme che butta sotto terra ci vede già il germoglio primaverile e la mietitura estiva.

Anche nel cuore delle donne, che si recano al sepolcro, è ancora notte. S’interrogano su chi rimuoverà la grossa ed ingombrante pietra sepolcrale, non sanno che Dio fa bene tutte le cose: richiama alla vita il Figlio Gesù e provvede, con un angelo a togliere l’ingombro della pietra. Anche noi dobbiamo togliere gli ingombri dal cuore che non ci permettono di sintonizzarci su Dio.

Solo allora si dischiuderà l’alba di una vita nuova, di germogli mai cresciuti, di speranze mai dipinte e s’ingrosserà il fiume della consolazione che deve sfociare nella vita di tutti coloro che si sentono oppressi, vinti, esclusi emarginati. L’oscurità della tomba, il protagonismo della morte, lasciano la scena alla luce trionfante e consolante della risurrezione e alla vita rinata. La morte continuerà ad esserci ma da sconfitta perché è stata “addomesticata” dalla forza dell’amore di Dio che l’ha vinta con la sua morte e risurrezione.

Ogni macigno è destinato a togliersi dinanzi le tombe, devono lasciare il posto a colui che dalla tomba deve uscire perché non è la sua collocazione definitiva come non lo è stata la croce. Ambedue sono stati due momenti, transitori, necessari, ma non tombali. Come la pietra del sepolcro di Cristo è stata rimossa dall’angelo del Signore così noi dobbiamo diventare angeli che liberano le tombe di coloro che si sentono prigionieri delle loro morti. La tomba degli affetti soffocati, la tomba del dilemma per la mancanza di lavoro, la tomba per il dolore di una sofferenza invadente, la tomba di un amore tradito, la tomba della mancanza di una famiglia, di una patria, di un territorio devono, tutte, trovare il masso, da noi rimosso, per uscire da esse, per liberarsi dalla schiavitù, dall’inerzia e dalla sterilità. La tomba vuota di Cristo non solo sconfigge l’oscurità, ma emana luce tanto intensa che deve raggiungere tutti senza ferirli, ma beneficarli. L’amore di Dio è capace di tutto questo perché ha come destinatario ultimo, l’ultimo degli uomini più abbandonato, più solo.