III Domenica Tempo ordinario – B

Gesù e il “colpo di fulmine”

(Giona 3,1-5.10; 1 Corinzi 7,29-31; Marco 1,14-20)

Ascoltiamo il Vangelo:

“Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù andò nella Galilea, proclamando il vangelo di Dio, e diceva: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo».
Passando lungo il mare di Galilea, vide Simone e Andrea, fratello di Simone, mentre gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori. Gesù disse loro: «Venite dietro a me, vi farò diventare pescatori di uomini». E subito lasciarono le reti e lo seguirono. 
Andando un poco oltre, vide Giacomo, figlio di Zebedèo, e Giovanni suo fratello, mentre anch’essi nella barca riparavano le reti. E subito li chiamò. Ed essi lasciarono il loro padre Zebedèo nella barca con i garzoni e andarono dietro a lui”.

Evidentemente Gesù doveva avere una forza persuasiva immensa se a coloro che incontrava bastava invitarli a seguirlo e loro, abbandonando tutto, lo seguivano. “Colpo di fulmine” si dice in campo sentimentale quando due persone si incontrano e quasi si folgorano per reciproca corrispondenza sentimentale, interesse e coinvolgimento. Ci sono delle emozioni che si provano a pelle che, con immediatezza e, senza filtri, ti portano verso l’altro e ti attraggono. Così è successo alla doppia coppia di fratelli: Simone ed Andrea, Giacomo e Giovanni i figli di Zebedeo.

Da quel momento la loro vita cambia. Repentinamente e completamente. Si stravolge. Lasciano sicurezze sentimentali, abbandonano l’esperienza lavorativa e si donano per una missione sconosciuta e per la quale sono inadeguati: da pescatori esperti di pesci a pescatori incapaci di uomini. Ma se per pescare i pesci occorrono le reti, per pescare gli uomini come si fa? E’ necessario tessere reti relazionali tali che permetteranno di attirare, aggregare con la stessa forza persuasiva di Gesù. Lasciare il certo per l’incerto è giù una pesca miracolosa, ma essi si fidano di colui la cui voce li ha ammaliati e il cui sguardo, evidentemente, è stato talmente intenso, intimo, che li porta a fidarsi e lanciarsi nel buio, nell’incerto. Forza dell’amore che attrae, fa scommettere, fa sognare. Fa vedere la luce anche quando c’è il buio, fa vedere la spiga mentre si butta il seme, fa vedere il ramo fiorito anche mentre cadono le foglie, fa vedere nuove gemmazioni anche quando l’albero sembra morto.

“Convertitevi e credete nel Vangelo” è stato l’invito che Gesù ha rivolto a loro. Non un piano preciso, circostanziato, non una strategia, ma, semplicemente, una revisione di vita e una svolta: convertirsi e credere. Lasciare il vecchio e abbandonarsi alla novità. Lasciare la propria mentalità ed investire di fiducia colui che chiama. Ecco, non seguire una ideologia, una strategia ma una persona, quella che ha chiamato, quella che ha attirato interesse verso sé stessa. Questo lo può fare, lo sa fare, solo l’amore. “Venite dietro a me, vi farò diventare pescatori di uomini”. Queste parole udite hanno comunicato non solo ciò che significavano ma hanno innestato anche una flebo di fiducia. Saranno state pronunciate con tale delicatezza, determinazione e persuasione che hanno generato il desiderio d’essere accolte e assecondate.

“E andarono dietro a lui”. Andare dietro significa seguire, percorrere la stessa strada, quasi le stesse orme, significa essere discepoli. Questo implica che c’è un maestro che insegna, che cammina accanto, che non ci lascia nella difficoltà, che assume su di sé l’onere di accompagnarci.

Camminando lungo il mare di Galilea, Gesù vide… Cammina senza fretta e senza ansia. Camminava ieri, cammina oggi sulle strade della nostra vita, cammina sulla riva della nostra esistenza, e chiama, come chiamò i quattro pescatori ad andare con lui. A chi lo segue, dà il potere di diventare pescatori di uomini, pescatori di umanità, cercatori di tutto ciò che di più umano, bello, grande, luminoso ogni figlio di Dio porta nel cuore. Occorre lasciare, liberarsi dei pesi, delle zavorre e fidandoci di lui, seguirlo. Solo un “colpo di fulmine” è capace di folgorarci senza distruggerci.

don Benito Giorgetta