L’inizio di qualcosa di grande.

Is 40, 1-5.9-11; 2Pt 3, 8-14; Mc 1, 1-8

Mostraci, Signore, la tua misericordi e donaci la tua salvezza.

La II domenica di Avvento – sulle orme della precedente – concentra tutta la sua attenzione attorno alla tematica della conversione; si potrebbe anche dire: attorno ad una vera e propria urgenza per il cristiano. Lo stile di vita di Giovanni il Battista, poi, ne è un chiaro esempio. Esso suggerisce un modo di pensare e di agire diverso, capace persino di diventare inequivocabile proposta per l’uomo che desidera la felicità.

            “Conversione”, spesso, è una parola mal interpretata o troppo spesso affidata ad un ballottaggio di senso. In realtà, essa, può essere compresa da diversi punti di osservazione. Ci può essere, infatti, una conversione finalizzata alla sofferenza, ad esempio quando la proposta è esclusivamente punitiva. In questo caso, l’accento viene posto sulla colpa da espiare e non sulle dinamiche proprie al perdono e alla speranza. Il percorso ascetico diventa di tipo masochistico e puramente prestazionale.

            Su un altro fronte, ci può essere una conversione intesa come proposta di gioia; vale a dire imparare ad abbandonare ciò che è “peggio” a favore di ciò che è “meglio”. L’accento, allora, cade sulla misericordia che solleva il misero; l’ascesi diviene palestra di libertà e si fa carico di rimuovere gli impedimenti all’incontro autentico con il Signore.

            Il profeta Isaia indirizza ciascuno proprio verso questo percorso, verso l’annuncio del sentimento di Dio nei confronti del suo popolo. Il popolo è in esilio, in balia di una prima fase di umiliazione e rassegnazione; esso è disperato, “scippato” della possibilità di ritornare in patria. Le parole del profeta, invece, diventano faro di speranza, rivelano la vera natura di Dio: misericordia.

            Isaia esorta il popolo a vigilare, a prepararsi alla venuta imminente del Signore. La strada del deserto muta in esperienza fondamentale per la fede d’Israele, essa rammenta il cammino verso la libertà, il pellegrinaggio del popolo dell’Esodo foraggiato di quella dignità a lui propria e costituita in essere dal Signore stesso.

            Marco, dal canto suo, citando Isaia, applica tali dinamiche al Battista, modificandone però i fuochi d’attenzione. Giovanni, infatti, è allo stesso tempo compimento delle profezie e precursore della loro realizzazione. Tutta la persona del battezzatore è investita di tale responsabilità: egli non è solo annunciatore ma anche modello di conversione. Il suo stile, la sua missione e la sua consapevolezza sono letteralmente sottomesse e finalizzate a “qualcuno più grande” di lui.

            Il palcoscenico sul quale viene rappresentata la scena della sua presentazione, è il primo episodio con cui esordisce il Vangelo di Marco. Per comprenderne il senso, è necessario soffermarsi su ogni singola parola, pesarne il senso e cogliere in loro le finalità proprie alla gioia. Il vangelo, che per natura è “buona notizia”, si dichiara apertamente nelle sue intenzioni e annuncia – attraverso le parole e la vita di Giovanni – che questa gioia, conseguenza di una conversione, è data da una persona: Gesù, il Cristo, il Messia atteso e Figlio di Dio.

            Cristo è colui che causa la gioia: il seme necessario ed esclusivo. La conversione non si riduce pertanto a un atto, ma si sviluppa nella logica di un processo che dura tutto il tempo della vita, capace di far maturare quel seme e farlo diventare un albero dai frutti belli e gustosi. Al cristiano dunque, è richiesto un impegno costante e disinibito, le capacità di porre in essere un atteggiamento perfettamente in sintonia con quanto aveva già detto Pietro nella sua seconda lettera: «Fate di tutto perché Dio vi trovi in pace, senza colpa e senza macchia» (2Pt 3, 14).

Giuseppe Gravante