Domenica delle Palme – Domenica della Passione di Cristo

(Isaia 50,4-7; Filippesi 2,6-11; Marco 14,1-15,47)

Gesù da provocato a provocatore, alzando l’asticella

Ascoltiamo il Vangelo:

“… Quelli che passavano di là lo insultavano, scuotendo il capo e dicendo: «Ehi, tu che distruggi il tempio e lo ricostruisci in tre giorni, salva te stesso scendendo dalla croce!».  Così anche i capi dei sacerdoti, con gli scribi, fra loro si facevano beffe di lui e dicevano: «Ha salvato altri e non può salvare sé stesso! Il Cristo, il re d’Israele, scenda ora dalla croce, perché vediamo e crediamo!».  E anche quelli che erano stati crocifissi con lui lo insultavano. Quando fu mezzogiorno, si fece buio su tutta la terra fino alle tre del pomeriggio. Alle tre, Gesù gridò a gran voce: «Eloì, Eloì, lemà sabactàni?», che significa: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?».  Udendo questo, alcuni dei presenti dicevano: «Ecco, chiama Elia!». Uno corse a inzuppare di aceto una spugna, la fissò su una canna e gli dava da bere, dicendo: «Aspettate, vediamo se viene Elia a farlo scendere».  Ma Gesù, dando un forte grido, spirò. …”.

Gesù, da provocato: “… salva te stesso scendendo dalla croce!”, diventa provocatore: “… Padre perdona loro perché non sanno quello che fanno”. Col perdono spiazza i suoi denigratori ed assassini ed alza la posta in gioco. Non solo non li maledice ma, perdonandoli, li scusa. Chi ama, ama senza misure. Anche in questo Dio è spropositato. Non bada a spese, non ha una reputazione da proteggere, non ha una carriera da portare a termine. Il suo amore per noi conosce altezze vertiginose, apicali. Lui ama e lo fa scandalisticamente. Fino alla morte e, alla morte in croce.

Dio non può morire, Dio non deve morire. Eppure, appeso ad una delle tre croci montate sul calvario, c’è il figlio di Dio. E muore. Solo. Abbandonato da tutti. Ecco dove è possibile leggere ed apprendere la sua onnipotenza. Ha fatto, ha portato a termine una missione che Dio non sa, non deve, non può compiere: morire. “Ma Gesù, dando un forte grido, spirò!”.

 Lui che è increato ed esiste da sempre e per sempre. Lui che ama la vita perché l’ha creata, lui che ama gli uomini perché li redime, compiendo questo gesto, dono la sua vita. E’ capace di fare una cosa impossibile a Dio: morire. Eppure muore. Onnipotenza dell’amore immolato. Nonostante tutto, come se non fosse ancora sufficientemente sconvolgente, ha ancora una lezione da impartire dalla cattedra scomoda della croce: Perdona scusando. In questo modo alza l’asticella e rilancia la provocazione ricevuta diventante provocatore. Rimane sulla croce. Inchiodato non dalla ferita inflitta dai chiodi, ma dall’amore che lo spinge all’estremo per salvare ogni uomo, di ogni tempo.

Ciò che è accaduto sulla sommità del calvario, lontano dai clamori della città, sotto lo sguardo della madre del discepolo che lui amava e di qualche donna coraggiosa che lo aveva seguito, da lì in poi diventa lo spartiacque del vero cristiano doc: amare, perdonare, scusare, donare. Gesù risponde con amore all’odio, col perdono alla condanna, con lo scusare dinanzi alla provocazione, col donare la vita per chi gliela sottraeva. Si la morte di Gesù non è una vita rubatagli dalla cattiveria dei suoi uccisori, quanto piuttosto una libera scelta del suo amore sconfinato. Un dono.

“Li amò sino alla fine”. Nel suo cuore squarciato non rimase neppure una sola goccia di sangue simbolo della vita che circola nel corpo umano. Dal suo fianco squarciato usci “sangue e acqua”. Aveva dato non molto, ma tutto.

Eppure, umanamente stanco, impaurito, aveva gridato, invocato: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”. Ma nessuno a risposto! Perché? Eppure era il Figlio di Dio che gridava, che invocava il Padre. Insensibilità di Dio? No! Non c’è stata risposta perché lui stesso, Gesù, era la risposta di Dio al dolore di ogni uomo, di ogni tempo. Lui era il chicco di grano di cui aveva parlato e detto che, caduto in terra, per generare una spiga, necessita che muoia. E lui per portare la vita, la gioia, la speranza, la risurrezione, la primavera nel cuore di ogni uomo ha donato sé stesso in “sacrificio di espiazione” che è sinonimo di perdono. Ha alzato l’asticella rilanciando la provocazione e ci provoca ad imitarlo.

Don Benito Giorgetta