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Ci stancheremmo prima noi di peccare che Dio di perdonarci

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Ci stancheremmo prima noi di peccare che Dio di perdonarci

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I Domenica di Quaresima  

Ci stancheremmo prima noi di peccare che Dio di perdonarci

(Genesi 9,8-15; 1 Pietro 3,18-22; Marzo 1,12-15)

Ascoltiamo il Vangelo:

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“In quel tempo, lo Spirito sospinse Gesù nel deserto e nel deserto rimase quaranta giorni, tentato da Satana. Stava con le bestie selvatiche e gli angeli lo servivano.
Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù andò nella Galilea, proclamando il vangelo di Dio, e diceva: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo»”.

Quaresima. Quaranta giorni. Cammino di conversione. Ancora una volta ritorna questa parola che è carica di sentimenti, di volontà orientati per il cambiamento. Gesù stesso lo suggerisce. Ma cosa davvero significa conversione?Cambiamento sì, ma del cuore e della mente. Rinnovamento interiore radicale, profondo. Non superficiale, di apparenza. È un nuovo look spirituale. Esistenziale. 

Ma Gesù, alza ulteriormente l’asticella: precisa che non basta convertirsi, occorre credere al vangelo. Aderire a Cristosenza se e senza ma. Lui è la vera buona novella. Allora convertirsi significa incontrare, fate esperienza di Dio nella nostra vita. Convertirsi è credere. Avere fiducia di Dio. Proprio questa è la dimensione e la sfumatura più difficile. La conversione può essere un atto fulmineo. Credere è una scelta permanente. Impegna tutta la vita, tutte le energie e le risorse.

Il tempo quaresimale è l’occasione per cambiare strada, per decentrarci dal nostro io, dal nostro egoismo, dal nostro tornaconto e dirigerci verso  Dio padre. Lui ci attende anche se siamo andati lontano. Lui non ci rimprovera anche se abbiamo peccato. Lui ci perdona anche se lo abbiamo offeso. Non ci giudica, ci accoglie e basta. Ci abbraccia. Ha “bisogno” di noi.

La parabola del padre misericordioso ci racconta che quando il figlio, ormai prostrato e vinto dal suo vizio, decide di tornare a casa da suo padre, si incammina, il padre che lo vede da lontano gli “corre” incontro. Ecco cosa ci accade quando decidiamo di risiedere nel cuore di Dio. Lui ci “corre” incontro. È felice di abbracciare un figlio. Non conta più il passato. Dio sa disegnare solo futuro. Dio sa solo suggerirci parole, verbi, scelte che parlano di oltre. Dio ci offre, sempre, un futuro disegnato da arcobaleni che segnano la fine della tempesta. Dio ci dona sempre la vittoria anche dopo le sconfitte più amare e disastrose.

Ci stancheremo prima noi di peccare che Dio di perdonarci. Questo non ci abilita a perseguire il  patentino da peccatore. Il peccato non deve mare essere un calcolo, ma sempre un incidente di percorso. Sappiamo che siamo inclini al peccato perché siamo deboli, fragili, poca cosa. Siamo un mucchio di inutile terra, polvere, ma nobilitata dall’amore di Dio che ci ha resi suoi figli. Capolavori. Unici. Irripetibili. E Dio non crea sgorbi e non fa sgarbi. “Dio è amore”.

Convertirci significa entrare nel campo magnetico dell’amore di Dio e lasciarci attrarre. Mai deve essere la paura del peccato a farci tornare da lui, ma la certezza dell’amore immutato con cui egli, sempre, ci accoglie. L’amore di Dio, si sa non deve essere meritato, conseguito. Noi siamo già amati. Lo ha scritto con caratteri di sangue sulla croce. Siamo amati a prescindere. A fondo perduto. Dio ci ama perché figli. Il rapporto paterno – filiale è scritto nel codice genetico ed è incancellabile. Ci si può comportare in modo alla condizione a cui si appartiene.

Con l’amore di Dio rifiorisce il deserto, ripartono le energie, si trasformano i lamenti in canti di gioia. Ecco perché l’invito di Gesù a convertirsi ed aprirsi al vangelo. In questo modo ci indica i rivoli di vita e le cascate di grazie che ne derivano. Tutti, se vogliamo, convertendoci, possiamo trovare pagliuzze d’oro nel terreno arido, sassoso e desertico della vita. Basta convertirsi e credere al vangelo.

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