Missione: cercare e non essere cercati.

Am 7, 12-15; Ef 1, 3-14; Mc 6, 7-13

Mostraci, Signore, la tua misericordia.

Da sempre, l’identità e l’essenza della Chiesa si palesano nella sua capacità di saper essere “comunità missionaria”. Tale specificità, poi, esprime con chiarezza la fedeltà all’insegnamento evangelico offerto dal Maestro.

Il riacquisto dell’indole missionaria, dunque, riaffermato costantemente anche dallo stesso papa Francesco, favorisce il consolidamento dell’autocoscienza ecclesiale, sostenendola nel cammino di santità e preservandola da forme di retorica e idealismo accentuato costantemente presenti in lei. Tale crescita, allora, esprime un sostanziale passo in avanti verso la simmetria d’identità con il Cristo, diventando persino terapeutica nei confronti di tutti quegli atteggiamenti diffusi, nonché emblematici, di una Chiesa stanca, poco creativa, giudicante e arroccata su stessa.

La missione della Chiesa, allora, deriva da quella del Cristo. Cristo è il primo missionario, inviato dal Padre per la salvezza del mondo. Se venisse meno tale paradigma, che senso avrebbe il sacerdozio? Il battesimo stesso? Il rischio concreto, oggi, è quello di settorializzare eccessivamente l’azione pastorale; esiste, infatti, la pastorale dei migranti, quella sanitaria, quella dei giovani, quella delle coppie, quella scolastica, quella missionaria ecc. Ma esiste una reale unità tra queste? L’impressione è che sia tutto “pastoralizzato”, ma che rimanga ben poco della concretezza del vangelo.

Proprio Marco – nel suo vangelo (Cap. 6) – parla dell’invio in missione dei Dodici. Attraverso una descrizione sintetica e puntuale dell’attività di Gesù: «Gesù percorreva i villaggi d’intorno, insegnando» (Mc 6, 6b), ci aiuta a comprendere come dalla missione stessa del Cristo sgorghi quella dei discepoli, in continuità con essa sia nella forma sia nei contenuti.

Gesù è colui il quale invia la sua comunità. È proprio a partire da ciò che si percepisce l’essenza di un mandato preciso e per nulla autonomo; la Chiesa non fonda su di sé la sua azione ed è per questo motivo che il tradimento di se stessa deriva dall’affievolimento della sua indole missionaria. Essa è missione, punto e basta! Non si danno né se e né ma: si è preti per essere missionari, si è battezzati per essere missionari, si deve cercare non essere cercati.

Gesù invia i discepoli «a due a due» (Mc 6,7). La prima testimonianza credibile è quella della carità reciproca all’interno della comunità. Purtroppo, è sempre più difficile far percepire il valore della comunione, la bellezza e la novità di vivere il vangelo; si assiste inermi a comunità parrocchiali incrostate da carrierismo atipico, da uomini e donne inaciditi/e e ripiegati/e su se stessi. L’invio «a due a due» esprime tutta la singolarità di una missione concepita come azione ecclesiale, valorizzata pur tuttavia dalle individualità e dalle tipicità proprie a ciascuno.

Essere missionari chiarisce definitivamente che non ci può essere spazio per ricchezza e comodità di sorta. Il grande valore aggiunto è dunque la povertà. La povertà, in ogni sua forma, è testimonianza credibile della priorità del Regno e della fede nella scala di valori e nell’agire della Chiesa. La povertà, infatti, è essenziale per la libertà dell’annuncio e per l’affermazione del primato di Dio, svincolando la Chiesa da compromissioni con il mondo e con i suoi potentati. Se questo non è accettato a priori, meglio non diventare sacerdoti, meglio rimanere a casa piuttosto che popolare conventi e seminari di zizzania.

I Dodici, come segno di questa continuità con il Signore, accompagnano il loro ministero con azioni dal sapore squisitamente gesuano: «scacciavano molti demòni, ungevano con olio molti infermi e li guarivano» (Mc 6, 13). Continuare la missione del Maestro garantisce la partecipazione al suo potere; solo chi ha come scopo primario la continuazione dell’opera di Gesù può esorcizzare ed essere puro da ombre. Ogni parola pronunciata e ogni azione compiuta, in fedeltà al vangelo e per amore di Cristo, riscatta l’uomo dalla sua possibile disumanizzazione, restituisce all’umanità il senso della dignità e annuncia la misericordia di Dio.

Giuseppe Gravante