L’irruzione del nuovo risignifica ogni cosa.

 At 4, 32-35; 1Gv 5, 1-6; Gv 20, 19-31

Rendete grazie al Signore perché è buono: il suo amore è per sempre.

Gesù, dopo la risurrezione dai morti e ormai privo dei limiti spazio-temporali che lo accompagnarono lungo tutta la sua esistenza terrena, si palesa alla comunità preferendo proprio i confini dello spazio e del tempo. La liturgia di questa II domenica di Pasqua “seu” della Divina Misericordia – che prende appunto le mosse dal succitato evento – ci insegna a penetrare gradualmente nel mistero, a coglierne tutte le implicanze e a saper fare “buon uso” della continua presenza del Risorto nella vita dell’uomo.

Entrando “nel luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei” (Gv 20, 19), il Maestro mostra loro le piaghe della passione, il cuore e l’essenza della missione realizzata. Egli sembra quasi voler far chiarezza su una questione di vitale importanza: tra il Crocifisso e il Risorto vi è continuità esistenziale. Il Figlio di Dio indubbiamente è morto; certamente oppresso dal male e dall’odio dell’uomo; tuttavia, rimane ben evidente come Dio sia sempre (il) più grande! La sua potenza, infatti, supera quella del male e il Cristo risorto, cioè colui il quale non è più da cercare tra i morti, ne è evidente conseguenza. È da questa certezza, allora, che il gesto performante di alitare sui discepoli acquista maggior significato: esso è richiamo della prima creazione (Cfr. Gn 2, 7). Lo Spirito Santo, pertanto, segnato dalla risurrezione ed effuso da Gesù su tutta l’umanità, diviene il segno della nuova creazione immunizzata dal predominio del peccato: il male non vincerà mai.

Gesù entra nello spazio della sua comunità, l’irruzione del nuovo risignifica ogni cosa. La comunità diventa il luogo della comunione e la condivisione dei beni effetto pratico del rinnovamento operato dal primo dono del Risorto. Questa, poi, diventa anche il luogo del perdono e dell’annuncio, dell’accoglienza e della testimonianza vigorosa per coloro i quali faticano a credere; ma su tutto, essa si ridisegna, i suoi confini diventano gli argini imposti dalla comunione: l’Amore.

            La comunità, in tal senso, è anche maestra di memoria. Far memoria significa ripensare la fede nella risurrezione e saperla rimodellare nello spazio dell’ordinario. Essa comporta una scoperta di senso: declinare l’esperienza del Cristo vivente nel vissuto concreto. Si può infine affermare che il perno attorno al quale tutto il tempo ruota, è la risurrezione stessa. Questo è ridisegnato da essa, riplasmato sul modello del Risorto, non più semplice successione di eventi bensì luogo d’incontro.

Giuseppe Gravante