La Santa Famiglia: espressione viva del “giorno dopo giorno”

Gen 15,1-6; 21,1-3; Eb 11,8.11-12.17-19; Lc 2,22-40

Il Signore è fedele al suo patto.

La famiglia, certamente, riveste ancora oggi un ruolo di preminenza socio-strutturale capace di infuocare gli animi e provocare persino movimenti di piazza. Essa, infatti, nonostante i continui attacchi che la vogliono limitata e circoscritta, diventa il vero punto di scontro politico: basti pensare alle enormi divergenze suscitate dai finanziamenti alle famiglie stesse o dalle lotte ideologiche provocate dal riconoscimento delle coppie di fatto.

Se tutto ciò, da un lato, evidenzia una sorta di scoraggiamento generale, dall’altro, manifesta pure la viva intenzione di guardare oltre. Questo sguardo verso il futuro risiede proprio nel recuperare la centralità dell’esempio offerto dalla Santa Famiglia di Nazaret, la quale, evidentemente, non costituisce solo una sorta di totem sociale.

La liturgia colloca questa ricorrenza durante le celebrazioni del Natale. In essa, dunque, si può cogliere l’evidente corollario alla memoria dell’incarnazione di Dio. Tra la prima lettura e il vangelo, è possibile intravedere un sottile filo rosso che funge da collegamento: nel libro della Genesi si annuncia la promessa, nel vangelo il suo compimento. Il vangelo proposto dalla liturgia odierna narra le vicende di due figure esemplari, due personaggi capaci di incarnare l’atteggiamento del credente che sa attendere e partecipare con merito al compimento: Simenone e Anna.

Simeone, descritto come «uomo giusto e pio» (Lc 2, 25), è il perfetto Israelita, l’uomo giusto secondo i canoni della legge mosaica. Ma tale riconoscimento, non coincide ancora con il vertice dell’umanità salvata. Simeone, infatti, «aspettava la consolazione d’Israele» (Lc 2, 25): egli è immagine dell’umanità protesa nell’attesa. Lo stesso si dica di Anna, che «non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere» (Lc 2, 37). Di entrambi, il vangelo ne evidenzia lo zelo per il Signore; Simenone e Anna sono mossi dall’azione dello Spirito Santo; tutti e due nel solo scorgere Gesù nel tempio, erompono in un canto di lode, riconoscendo in lui le fattezze del messia. Simeone aspettava la “consolazione”; Anna, invece, parla «a quanti aspettavano la redenzione di Israele» (Lc 2, 38). Due modi, due testimonianze per esprimere un’unica convinzione: il sopraggiungere della salvezza.

Maria e Giuseppe, da “giusti” fedeli, ascoltano con attenzione le parole loro rivolte, non tradendo però una certa dose di stupore. I due sposi compiono fedelmente le prescrizioni della legge, inserendosi pienamente nella tradizione del popolo ebraico.

Spesso, questi tratti dell’esistenza umana di Gesù vengono interpretati come funzionali al suo futuro, a ciò che sarà il suo successivo “ministero pubblico”. In tal modo, però, si corre il rischio di lasciar sfuggire il significato e l’importanza di questi primi anni della sua vita.

Dio, facendosi uomo, non si allontana da nulla del quotidiano, assume anche le dure condizioni della legge, di ciò che vibra nel silenzio e nell’ordinario. Il Natale, allora, ci aiuta a meditare su questo grande mistero. Riscoprire il quotidiano, spesso disprezzato perché non esaltante, è il vero messaggio che il sospiro di Dio nell’incarnazione del Figlio vuole farci giungere.

Riconsiderare l’ordinario, riconfigurarlo secondo la ricchezza della sua fecondità spirituale e apprezzarne anche i tempi prolungati, significa imparare a stimare il guadagno interiore che può giungere dal nascondimento del “giorno dopo giorno”. Probabilmente oggi, sono cose socialmente poco stimate, ma esprimono la condizione di una vita spiritualmente ricca e santa.

Giuseppe Gravante